Il nesso che unisce in modo biunivoco prodotto tipico e territorio di origine ne costituisce un mutuo arricchimento di identità, di riconoscimento, di passato e di prospettiva futura. Il prodotto tipico infatti è caratterizzato da una decisa stabilità nei caratteri e nelle forme che deriva da un cruciale elemento genetico. E’ il caso dei vitigni autoctoni, come delle diverse varietà di olive (più di 500 in Italia) che nel tempo si sono geneticamente adattate a quel territorio (terra e clima). Elemento non a caso genetico perché i geni non solo biologici, ma anche culturali, si caratterizzano solo se forgiati in un piccolo crogiolo al fuoco lento della storia.
Quindi, prodotti che riflettono la particolare alchimia di storia, di mestieri e di persone che rendono ogni luogo diverso dall’altro sono infatti espressione di una diversità che spesso viene perduta, e che appare antiquata di fronte alla preponderante tendenza verso ciò che per apparire globale coincide sempre più spesso con la standardizzazione. Una varietà, questa diversità, che dava il senso della ricchezza di senso perché profondamente radicata nel tempo.
Il grande ed immenso mosaico italiano rappresenta un patrimonio unico da valorizzare attraverso la promozione di un modello di consumo che privilegi la libertà di ricercare e di apprezzare una diversità che è spesso sinonimo di saperi locali, di tradizioni, di processi lenti e di cultura.
“I popoli del Mediterraneo cominciarono ad uscire dalla barbarie quando impararono a coltivare l’olivo e la vite” Tucidide (V secolo a.C.).